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Fiamma

DAI 16 ANNI IN POI

(di Gemma Costa)

Fiamma è un’adolescente con una visione del mondo tutta sua che la rende unica: unicità che fa sì che non riesca ad adattarsi alla vita e difficilmente la vita si adatti a lei. Nel suo immaginario, dove le persone sono insetti, i corridoi tappeti rossi, l’ospedale è la Luna, si dipana il filo di un racconto venato di umorismo che compone mano a mano lo spazio scenico come fosse un puzzle. La diversità, la solitudine, la voglia disperata di vivere, la paura di morire, la curiosità, l’intelligenza, la fantasia e dunque lo scarto tra la propria percezione della vita contro la realtà del mondo: tutto questo Fiamma racconta, aprendosi delicatamente al pubblico, tra prosa e poesia, parole e danza, forti emozioni e una spiccata autoironia. Finché la sua solitudine incontrerà quella di un ragazzo della sua scuola: “il riccio”. Tra i due inizierà un amore privo di parole, espresso da gesti e da una promessa: quel giorno, a quell’ora. Gli ultimi avranno l’ultima parola e alla fine diventeranno primi; anche se nessuno sa cosa sia la fine e soprattutto se ci sarà. Dalle parole dell’autrice: “Fiamma è un testo nato dall’amore e dalla necessità di condividere con gli altri un’esperienza biografica. L’Associazione di Promozione Sociale “Sbagliando s’impara” mi ha permesso di fare lezioni di teatro per sei mesi presso il reparto di neuropsichiatria infantile all’ospedale Bambino Gesù di Roma. Quando tornavo a casa, dopo aver passato un’ora d’orologio con quei ragazzi, scrivevo, ogni volta, qualsiasi cosa. Era il mio modo di dar voce ad emozioni molto forti e allo stesso tempo, molto confuse. Così ho scritto in due settimane un testo che poi è rimasto chiuso in un cassetto per un mese. Erano appunti. Non mi ero accorta che dietro c’era una vera e propria storia. Dopo un mese, ritornata la lucidità, ho iniziato a leggere e a guardare. Le pagine si sono messe una dietro l’altra e Fiamma si è presentata a me. Non l’ho creata io. Mi piace pensare che lei si sia creata da sola e che mi sia venuta a trovare una mattina con i suoi occhiali appannati, il suo modo bizzarro e colorato di vestirsi e le spalle un po’ in su come simbolo della sua timidezza, chiedendomi di potersi raccontare ad un pubblico. Io l’ho solo ascoltata.” (Gemma Costa)

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